Crisi della coppia e minori

Crisi della coppia e minoriLa situazione di figlio di genitori separati sta diventando sempre più frequente in Italia, come del resto in tutto il mondo occidentale. È una situazione che comporta inevitabilmente per il bambino momenti di crisi non solo nel periodo in cui tale separazione di fatto avviene, ma anche e soprattutto nel periodo precedente ad essa e talora in quello successivo. Non si tratta per lui solo di cambiare abitudini di vita e modalità di rapporto con i genitori: sono in gioco anche la qualità di tale rapporto, la possibilità di trovare sostegno nei genitori, i suoi processi di identificazione, lo stesso strutturarsi della sua immagine di sè e della sua identità sociale.

Il bambino può sentirsi in pericolo perchè non trova chi si preoccupa pienamente dei suoi autentici bisogni, ma – soprattutto se è piccolo – può sentirsi minacciato dai suoi stessi impulsi, quando vede concretizzarsi nella realtà quelle sue fantasie aggressive e di divisione dei genitori che sono normale retaggio di alcune fasi del suo sviluppo psicologico.

Egli può reagire a questo con comportamenti che aggravano la distanza psicologica tra lui e i genitori, già presente per il concentrarsi delle loro energie e della loro attenzione sul conflitto reciproco, ma può anche cercare un ‘accomodamento’, instaurando stili di comportamento funzionali alla situazione familiare, ma disfunzionali per la sua crescita come persona e per la sua socializzazione (come quando accetta ruoli che lo pongono in posizione di passività, o sviluppa meccanismi difensivi che risultano adeguati per non essere troppo coinvolto o danneggiato nel conflitto genitoriale ma che a lungo andare si rivelano inadeguati nell’ambito di altri sistemi relazionali a cui partecipa: quello scolastico, il gruppo dei coetanei…). Egli può anche, a volte intenzionalmente ma più spesso senza rendersene conto, sostenere o accentuare il conflitto dei genitori attraverso la ‘scelta’ di uno di essi, a cui spesso viene più o meno direttamente sollecitato. Ma anche questo acuisce le sue difficoltà e i suoi motivi di crisi perchè, lungi dall’aiutarlo ad uscire dal disagio, lo porta a dover sostenere in continuazione tale scelta e a volte anche ad autoprecludersi i rapporti con l’altro genitore, non avendo altra possibilità, per vivere meno angosciosamente e non porsi sempre in discussione, che il rifiutare il contatto con una realtà che gli ripropone una “verità” diversa e lo espone a sensi di colpa e a timori di punizione e di abbandono.

Naturalmente, la separazione dei genitori non comporta automaticamente una problematica dei figli che non possa essere superata. È stato anzi da più parti dimostrato come si sviluppino nel corso degli anni maggiori disturbi di personalità e di socializzazione tra i figli di genitori formalmente uniti ma il cui menage è caratterizzato da tensioni più o meno acute e prolungate.

Tuttavia, la crisi del bambino che partecipa al disgregarsi dell’unione dei genitori può essere superata solo se questi ne percepiscono l’esistenza e si adoperano per aiutare il figlio in tal senso. Ciò purtroppo spesso non avviene. I genitori infatti non poche volte tendono a coinvolgere e a strumentalizzare il figlio nella loro contesa e spesso non riescono a cogliere il significato dei comportamenti che egli mette in atto per adeguarsi alla situazione, o comunque con l’intento di trovare in essa un vantaggio, o anche solo la possibilità di essere “visto” o “ascoltato“. Una lettura non appropriata di tali comportamenti anzi a volte li allarma, ed essi divengono sempre meno disponibili a comprendere le reazioni del figlio e ad aiutarlo a superare le sue difficoltà.

È d’altra parte comprensibile che un simile aiuto venga dato difficilmente nel momento della separazione, che è per ambedue i genitori momento di grave crisi personale. I vari stati d’animo che si possono sviluppare in questa circostanza inevitabilmente rendono soggettiva la percezione della realtà e fanno concentrare ogni energia nel tentativo di trovare, in se stessi e nel contesto, elementi che permettano di sentirsi, e di proporsi agli altri, come persone valide. Non raramente, inoltre, per potersi garantire un’immagine di sè positiva, i coniugi hanno bisogno di contrapporre ad essa l’immagine negativa del coniuge: in questi casi, non solo vi è scarsa disponibilità verso il figlio, ma vi è anche l’esigenza che il figlio sia disponibile a confermare la propria interpretazione della situazione.

Tuttavia, una difficoltà ad aiutare il bambino nei suoi problemi può esistere anche prima della separazione se i genitori, nel tentativo di definire la consistenza della propria posizione con la ricerca di “alleati” fuori e dentro il nucleo familiare, condizionano il loro rapporto con il figlio all’atteggiamento che questi assume nei loro confronti e nei confronti dell’altro.

Ugualmente, può mancare per molto tempo dopo la separazione una capacità a recepire le esigenze e le problematiche del figlio, quando i genitori non riescono a raggiungere un “divorzio psichico”, cioè la cessazione di una dipendenza emotiva reciproca, e tendono a bloccare lo scorrere degli eventi piuttosto che adeguarsi ad essi. In tali casi, anzi, essi possono danneggiare ulteriormente il figlio quando, coinvolgendolo nella strutturazione delle loro difese, arrivano a costruirgli, attraverso complessi meccanismi di proiezione, identificazione o compensazione, bisogni e ruoli non suoi, che lo costringono a nascondere, camuffare, distorcere i propri sentimenti (ad esempio quelli verso l’altro genitore), e ad accettare pertanto di perdere qualcosa di sè per non perdere una disponibilità, se pur parziale, di uno o di ambedue i genitori.

Così appare evidente che la risoluzione delle problematiche affettive del bambino i cui genitori si stanno separando o si sono separati, potrebbe essere favorita da un aiuto che venisse dato a questi ultimi dall’esterno, sia direttamente, attraverso una chiarificazione delle problematiche del figlio e una guida e una risposta adeguata al loro esprimersi, sia indirettamente, attraverso un’azione intesa a sostenere i genitori nell’uscita dalla loro stessa situazione di crisi personale, perchè possano trovare da soli, una volta riacquistata una sufficiente stima di sè, modalità di rapporto con il figlio valide e gratificanti per ambedue, e conservare uno spazio per un simile rapporto tra il figlio e l’altro genitore.

Questo aiuto alla famiglia che si disgrega, in funzione della prevenzione e del trattamento dei disturbi psichici dei suoi componenti, è ormai scontato in molti paesi. Negli Stati Uniti, ad esempio, si è venuta sviluppando una specializzazione nel trattamento delle problematiche psicologiche inerenti alla separazione e al divorzio. In questo caso, nel lavoro terapeutico non vengono presi in considerazione solo i problemi che i coniugi pongono, ma anche gli aspetti psicologici che essi non sono riusciti ad evidenziare e che stanno alla base del permanere di incomprensioni e conflitti. Tra questi viene posto di solito in primo piano il problema dei figli, considerati in situazione di rischio psicologico, anche se non vi è una dichiarata contesa di essi da parte dei genitori: il lavoro in questi casi è indirizzato a una chiarificazione delle forme con cui essi vengono concretamente coinvolti nel conflitto, e ad un progetto di prevenzione della comparsa e dell’aggravamento di eventuali disturbi psichici.

Sono comparse anche pubblicazioni a carattere divulgativo per genitori e per gli stessi bambini, mentre la pubblicistica specializzata appare molto abbondante. Questo non significa che non debba essere tentata, ove possibile, una ricostruzione dell’unione coniugale, considerando che una sua dissoluzione è pur sempre fonte di difficoltà per tutti i membri del nucleo familiare, ma significa che, una volta accertata l’impossibilità di ristrutturare l’unione in modo tale da presentare elementi di positività per le relazioni familiari, viene presa in considerazione in modo realistico la possibilità che la separazione comporti la minor sofferenza possibile per tutti.

In Italia, l’aspetto psicologico della separazione è relativamente trascurato, se si fa eccezione per alcuni consultori familiari e per qualche associazione privata che hanno scelto come campo d’azione e d’interesse principale il terreno delle problematiche relazionali.

Risulta così scoperto un grosso ambito d’intervento su persone a rischio psicologico, e in particolare sui bambini soggetti a tale rischio.

In questa situazione ha certo un’influenza notevole un atteggiamento culturale verso la separazione che deriva da una concezione di famiglia intesa ancora essenzialmente come istituzione garante della struttura sociale e della trasmissione dei valori etico-normativi che ad esse sottendono. Una famiglia che va quindi protetta e garantita al massimo nella sua unità, indipendentemente dalle dinamiche interpersonali che si sono sviluppate tra i coniugi, anche se queste non solo non permettono più alcuna forma di sostegno reciproco, o determinano una situazione di conflittualità permanente tra loro, ma sono anche venute assumendo caratteristiche tali da poter essere considerate distruttive per ambedue.

È una concezione che rispecchia una scarsa attenzione all’uomo come persona, ponendo in primo piano un interesse “sociale” esso stesso basato più sulla conservazione delle istituzioni che sulle effettive esigenze degli individui che tale società compongono, e che trova riscontro in quanti temono che il dar peso alle esigenze personali dei singoli, e quindi anche dei coniugi, possa essere di per sè un elemento di indebolimento della famiglia e quindi della società. In questo contesto, la separazione viene accettata solo come dato di fatto, ma non valutata positivamente, nè considerata un mezzo atto a risolvere problemi coniugali non altrimenti risolvibili e per consentire ai coniugi di trovare altri modi e altri spazi non solo per vivere e per realizzarsi, ma anche per essere più disponibili ai figli e per permettere loro esperienze di vita più positive.

E di questo sembrano convinti, nella realtà italiana, paradossalmente, gli stessi coniugi che si separano, che assai spesso tendono a nascondere ai figli questa loro intenzione o a spiegar loro in modo poco chiaro e contraddittorio cosa sta avvenendo. Certo, ciò accede anche perchè essi vivono la separazione con ansia e con notevole incertezza per la nuova condizione: ma è evidente che se essi non la sentissero socialmente poco accettabile riuscirebbero ad affrontarla più realisticamente e a prospettarla più serenamente al figlio ponendo in evidenza i vantaggi che egli stesso ne può ricavare.

In quest’ottica, anche il discorso dell’interesse e dell’educazione dei figli, pur considerato scopo primario della famiglia, assume un carattere particolare e riflette la sostanziale scotomizzazione dei singoli come persone: è evidente infatti che il loro crescere in una famiglia solo formalmente unita ma caratterizzata da scontri o incomunicabilità tra i suoi membri può essere considerato solo un mezzo per trasmettere loro un valore di indissolubilità del matrimonio che prescinda dalla qualità delle relazioni interpersonali tra i componenti del nucleo familiare. Sembra così perseguito non tanto l’interesse per una adeguata crescita psicologica del bambino, quanto piuttosto l’interesse che esso assuma alcune norme sociali: atteggiamento che, peraltro, corrisponde al concetto ancora largamente diffuso di educazione intesa come trasmissione di valori, piuttosto che come aiuto al bambino a far emergere le sue capacità e a realizzarle in modo autonomo.

In tale situazione, è comprensibile come i coniugi e chi li circonda non riescano ad avvicinarsi alla realtà della separazione senza tendere ad una immediata classificazione morale dell’evento che richiede la ricerca di un colpevole e di un innocente, di una “ragione” e di un “torto”. Ed è comprensibile come spesso l’intervento del giudice venga visto come l’unico possibile in caso di contrasti che i coniugi non riescono a risolvere da soli.

I tempi appaiono maturi anche in Italia per interventi psicologici specifici sul disagio della famiglia che si va disgregando e in quest’ambito la psicologia italiana ha ancora molto da recuperare rispetto a quanto è già stato fatto in altri paesi. Si tratta, oltre che di affrontare un lavoro delicatissimo nella sua specificità, di compiere un lavoro più vasto di sensibilizzazione dell’opinione pubblica al problema nella sua concretezza. È evidente infatti che i coniugi che si separano saranno tanto più capaci di affrontare con realismo le loro difficoltà e quelle dei figli quanto più si sentiranno capiti da coloro che li circondano.

di Laura Mullich

Fonte: http://www.geocities.com