La dipendenza affettiva

cryingonphone

La dipendenza affettiva o se si preferisce “tormento d’amore”, “ossessione d’amore”, “amare troppo” è un vero e proprio disagio a proposito del quale non sono ancora stati elaborati degli attendibili criteri diagnostici che lo distinguano da ciò che comunemente chiamiamo “amore” (anche se si sviluppa attraverso uno schema molto simile a quello di tutte le altre dipendenze: alcool, droga, cibo etc). Si può dire che la dipendenza affettiva è il vero nemico dell’amore. Chi ama troppo è ossessionato dall’altro e chiama questa ossessione amore. Si tende erroneamente a misurare il grado del proprio attaccamento all’altro dalla profondità del proprio tormento. Il dipendente affettivo non si sente libero di amare una persona per quella che è veramente e, nello stesso tempo, non è in grado di farsi amare per quella che è la sua vera natura. Il rapporto d’amore non viene vissuto davvero, si sta insieme all’altra persona per colmare le proprie paure, i propri bisogni.

Il risultato è contrario a ciò che ci si aspettava: le paure si amplificano e sempre più intensa diviene la tendenza ad offrirsi all’altro.

Raramente se ne prende coscienza. Si assiste ad un unico scenario che si ripeterà continuamente allo stesso modo e nel quale i protagonisti sembrano avere lo stesso ruolo per tutta la durata della relazione. Il copione è sempre lo stesso: si sente di contare qualcosa solo se si è all’interno di un rapporto di coppia. Si è portati a giustificare i tradimenti del partner, la sua indifferenza o aggressività, addossandosi la colpa dei suoi comportamenti e non ritenendosi sufficientemente amabili. Ci si annulla dedicandosi all’altro e cercando di cambiare la persona amata (senza riuscirci) perché diventi somigliante a ciò che si vorrebbe che fosse. Ci si nasconde dietro una falsa immagine e si fa di tutto per conservarla.

Quando si è innamorati, invece, ci si toglie di dosso qualsiasi maschera. Si vive un piacere intenso al solo sguardo dell’altro e un dolore profondo e destabilizzante se l’altro non c’è o si teme che non ricambi l’amore. L’innamoramento però è solo una fase del rapporto, un periodo che lascerà il posto ad ulteriori evoluzioni della relazione: possiamo dire in sostanza che, mentre innamoramento e amore vero sono fenomeni in continuo movimento, che costantemente evolvono e mutano, la dipendenza affettiva è uno stato di immobilità, una condizione che non fa crescere il rapporto.

L’interesse per questo tipo di dipendenza ha preso vita solo da poco tempo, da quando i ruoli nel rapporto di coppia sono diventati meno definiti e la ricerca dell’intimità è diventata essenziale.

Quando la propria serenità, la fiducia nel proprio valore, hanno origine unicamente dal giudizio e dallo stato d’animo dell’altro, quando si vivono gelosie ingiustificate (con comportamenti come il controllare il telefonino o l’agenda del partner, seguirlo, etc) e si pensa ossessivamente al partner dimenticandosi di sé, dei propri interessi forse si sta già amando troppo. Il “dipendente affettivo” non riesce a rimanere solo: sentimenti angoscianti come un senso di vuoto e di smarrimento potrebbero travolgerlo nei momenti di separazione così come l’impressione di poter morire a causa dell’assenza del partner. Inoltre sentimenti di odio, apparentemente senza motivo, sono seguiti dal desiderio di essere puniti, si è predisposti a svalutare i sentimenti e si ha molta paura a mostrarsi per quello che si è.

Comuni sono anche il timore di essere esclusi, annullati e il continuo oscillare tra desiderio e la paura di “essere vicini” al partner.

L’ansia predomina lo scenario della dipendenza.

La dipendenza affettiva, così come la maggior parte dei disagi psichici, trova le sue origini nei propri vissuti infantili. Esperienze di abbandono, violenze fisiche e psichiche lasciano un segno doloroso e possono predisporre la persona a “tormentarsi d’amore” nella vita adulta. Per lo più si tratta di bambine (questo tipo di dipendenza ha connotazioni tipicamente femminili) costrette a diventare adulte prima del tempo, obbligate per forza di cose, ad occuparsi del genitore o dei fratelli. Bimbe buone e brave, angioletti che hanno imparato presto a cucinare, a fare le pulizie, andare bene a scuola. Quando si diventa “grandi” si sente l’esigenza di continuare a salvare le persone care ripetendo un copione familiare. Inoltre non è da sottovalutare l’influenza di fattori storici e sociali che hanno imposto alla donna la devozione amorosa come massima virtù. La devozione amorosa non riguarda solamente il partner ma anche il proprio genitore, i propri figli. Per la donna queste sono persone da amare in modo assoluto, cioè in virtù di un vero e proprio annullamento di sé. Senza questo “dedicarsi” al bene altrui e senza questo rendersi “amabile”, una donna semplicemente non si sente donna: se un uomo la rifiuta non solo si sente brutta o non desiderabile, ma non si sente affatto donna.

Di solito sono donne innamorate di un uomo sposato, di una persona già impegnata, vivono nella perenne speranza che lui ritagli un po’ di tempo per loro e addirittura lasci la propria donna. Speranza, questa, alimentata dalle ricorrenti promesse di lui. Sono spesso compagne di alcolisti o tossicodipendenti, mogli vittime di violenze fisiche e psicologiche, ma anche innamorate silenti del capoufficio da cui si lasciano maltrattare pur di sentirsi importanti. Donne abituate a considerarsi fragili, dipendenti, bisognose di protezione e di un punto di riferimento. Le donne che amano troppo hanno la vocazione a sopportare qualsiasi mancanza di rispetto da parte dell’innamorato purchè le rassicuri e, per evitare che lui fugga, si adatteranno a fare da infermiera, da mamma, confidente etc. Donne indebolite da una scarsa fiducia in loro stesse, con alla base una predominante sensazione di non poter vivere senza l’uomo che amano e che sentono di contare qualcosa solo nel ruolo di sofferenti salvatrici.

E’ frequente che cerchino di manipolare il partner per cercare di farlo cambiare. Hanno la tendenza ad attribuire la responsabilità della propria sofferenza al fato e non a loro stesse.

Nonostante il fenomeno dell'”amare troppo” sia tipicamente femminile, anche gli uomini possono soffrire la dipendenza affettiva, vivendo angosce che hanno origine nell’infanzia e nutrendo una scarsa considerazione di sé (proprio come le donne che amano troppo).

L’uomo, più della donna, tende ad alleviare queste sofferenze investendo gran parte delle energie nel lavoro, impegnandosi in hobby e sport, cercando, in definitiva, delle risposte “al di fuori di sé” più che “dentro di sé”.

Le persone che amano troppo associano se stessi all’identità della persona amata. Si sviluppa una grande paura per ogni cambiamento, si tende infatti a soffocare lo sviluppo delle capacità individuali e ogni interesse che vada al di là del partner. Ci si disabitua a pensare a sé, alla proprie passioni, ad una creatività che non si sa nemmeno di possedere. Si diviene ossessionati da aspettative irrealistiche e ci si convince che, operando a favore del compagno, si metterà al sicuro il rapporto. Vissuti deludenti e risentimento saranno sufficienti a rendere inefficace un simile progetto. Si corre il rischio di cercare uomini solo per riempire grandi vuoti interiori. Non è possibile costruire una relazione con l’altro se prima non si stabilisce una relazione con se stessi. Quando si ama troppo non si sta amando veramente, le conseguenze della paura e della dipendenza, tipiche della persona tormentata d’amore, sono incompatibili con l’amore autentico.

Spesso accanto ad una donna “salvatrice” c’è un uomo che non si prende le responsabilità, accanto ad una donna che è stata abbandonata da piccola, può esserci un uomo che la trascura e la tratta male. E, altrettanto spesso, il compagno della donna “affettivamente dipendente” soffre a sua volta di qualche tipo di dipendenza o disagio. Guardandola in questo modo si può dire che anche l’uomo della “donna tormentata d’amore” soffre, non è in grado di vivere un amore maturo e ripete egli stesso un copione che non gli permetterà di realizzare appieno se stesso all’interno di una coppia. Generalmente sono uomini incapaci di esprimere affetto.

Chi ama troppo ha la pretesa di manipolare il partner, tentando di cambiarlo, sente il bisogno di intervenire modificando la realtà e ha grandi difficoltà ad accettare l’altro per quello che è. Tenendo sotto controllo l’altro, si pensa erroneamente di controllare anche i propri sentimenti. Prendere coscienza di questo proprio atteggiamento vuol dire già fare un grosso passo avanti. Se la dipendenza affettiva spinge a controllare l’altro, la prima cosa da fare è sicuramente stare fermi, non agire più quel controllo, ma cominciare ad accettare la realtà e soprattutto se stessi. Guardare la realtà e il proprio uomo per come sono, aiuta sicuramente a prendere delle decisioni sane e costruttive. Ma non è facile. Nel momento in cui il disagio e la sofferenza diventano troppo pesanti, tanto da compromettere seriamente la vita quotidiana, è bene rivolgersi ad uno psicoterapeuta di fiducia che aiuterà a prendere più consapevolezza della propria situazione. L’obiettivo del processo terapeutico è rappresentato dall’acquisizione di consapevolezza, scoprire la propria fragilità può trasformarsi in una forza che permetterà di avere una più chiara visione della realtà e di conseguenza la capacità di migliorare la propria vita.

Forse l’atteggiamento più costruttivo è quello di condividere i propri vissuti e confidarsi reciprocamente le esperienze che, in qualche modo, hanno sempre delle affinità. Ognuno di noi può aver attraversato un periodo di “dipendenza affettiva”: la possibilità di uscirne e di creare in seguito rapporti più autentici risiede nella capacità di ognuno di prendere coscienza del problema e di evitare di incastrarsi in un circolo vizioso che potrebbe impedire ogni tipo di cambiamento dentro di sé. Il momento significativo che porta le persone che amano troppo a chiedere aiuto, è rappresentato dalla percezione del vuoto, dalla perdita di identità, dalla rabbia e dalla frustrazione di non vedere ricambiata la dedizione e il loro amore. Si sentono sole e si convincono che qualcosa non va, trovando, a volte, la spinta necessaria ad uscire dal circolo vizioso della dipendenza affettiva: in questo processo di acquisizione di consapevolezza il ruolo di amici e persone care può essere fondamentale.

Dottoressa Mariacandida Mazzilli

Fonte: http://www.ilmiopsicologo.it