Single: una normale condizione di vita?

2413435237_c4c55d5b69Secondo l’Istat in Italia quattro milioni e mezzo di famiglie, oggi, sono composte da una sola persona. “Single” che, stando alle inchieste, per due terzi non vivono la solitudine domestica come una condanna, ma come una normale condizione di vita.

In loro preverrebbe il desiderio di libertà individuale sul senso di appartenenza. La “singleness”, così intesa, vi sembra un valore o un disvalore? E quali speranze hanno i “single” di vedersi riconosciuti diritti come quello all’adozione, alla procreazione assistita o all’assegnazione di case popolari?

Barbagli: C’è un chiarimento importante da fare: questi quattro milioni di single sono, in realtà, persone che per metà hanno più di 65 anni, persone che vivono da sole normalmente, perché sono vedove, separate o divorziate. Persone, quindi, per le quali i problemi posti dalla domanda non sussistono, mentre, nelle situazioni più gravi, sussistono semmai problemi di assistenza e di solitudine, e tutto fa prevedere che questi problemi socialmente cresceranno.

Ci sono poi gli altri single, i single giovani. Io non saprei davvero dire che cosa debbano fare questi single. Anzi, direi che sono fatti loro….

Posso soltanto dire che i single in Italia sono meno che in altri Paesi, tutti i dati ci confermano che in Italia si esce di casa più tardi, si tende a restare più a lungo con i genitori e quindi i single, cioè le persone che stanno per un certo periodo di tempo sole, sono meno. E questo non avviene solo in Italia, per la verità, si pensa che sia una peculiarità italiana e invece, se è una peculiarità, lo è dei paesi mediterranei.

Avviene nell’Europa del Sud. Però, perché avviene? Per tanti motivi diversi. Non avviene, come dicono i giornali, perché sono mammoni. Avviene, forse, per diverse tradizioni storiche: in Italia e nei paesi del Mediterraneo c’è una storia della famiglia diversa da quella dei Paesi anglosassoni. Ci sono norme che non favoriscono l’uscita di casa, e mi riferisco non tanto alle norme di legge, ma a norme che regolano la vita sociale, norme organizzative. Ad esempio, come sono organizzati gli studi superiori e l’università, come e perché le banche concedono mutui per acquistare casa…

Saraceno: Sono d’accordo, bisogna distinguere tra questi single, che sembrano tutti swinging single che vanno al bar dei single e hanno queste vite affascinanti, bisogna distinguere in questo immaginario collettivo del single che va al club Mediterranée per trovare un compagno, per avere un colpo di vita…

In realtà, per la metà sono appunto vecchi, anzi vecchie. Soprattutto tra gli anziani le single sono delle anziane, spesso delle grandi anziane, le quali sono state in una famiglia con altre persone per tutta la vita, passando da una famiglia all’altra, hanno accudito il proprio compagno fino alla fine e poi, spesso, si sono trovate da sole. Perché per motivi demografici, diversa speranza di vita tra uomini e donne, il fatto che le donne si sposano più giovani rispetto agli uomini, queste donne poi si trovano da sole.

Per loro, quindi, più che di singleness si può parlare di solitudine. E anche qui non sempre, perché ci sono i figli e perché vivere da soli non vuol dire vivere isolati. Ci sono anche delle donne, e in questo sono un pochino in disaccordo con te, Marzio, ci possono essere anche donne che rimangono vedove in età non molto avanzata e che possono avere, proprio, una svolta di vita.

Barbagli: Vedove finalmente felici.

Saraceno: Sì, c’era “La sindrome della vedova felice”, era il titolo di un libro americano di diversi anni fa, e faceva un po’ colpo. Ma mi ricordo che quando l’avevo raccontato a mia madre, lei aveva commentato: “Che scoperta, certo che è così”. La sindrome della vedova felice, nel senso di una vita compiuta, portata a compimento, e nel senso, quindi, del potersi dedicare ad altro. Poi ci sono i separati o divorziati, che possono essere di ogni età. E, anche qui, c’è chi si può ritrovare da solo senza averlo voluto e chi si ritrova da solo avendolo fortemente voluto. Infine i giovani…

Ma in generale l’essere da soli, almeno nel nostro Paese, ma è vero anche nella maggioranza dei Paesi, è una fase della vita, non è una scelta di vita. Per cui alcune questioni tipo l’adozione riguardano davvero una minoranza molto ristretta. Il che non significa che per questi non sia un problema serio. Quasi mai uno sceglie di rimanere da solo per tutta la vita. Può capitare. E allora può capitare di porsi il problema: perché io non posso adottare o avere un bambino?

Ma, per lo più, si tratta di una fase iniziale della vita, o una fase finale, o una fase intermedia tra due matrimoni. E, come dicevi tu, Marzio, prima, in Italia e nei Paesi mediterranei rispetto ad altri Paesi si tratta per lo più della fase finale, perché da noi i giovani non escono di casa, si sposano un po’ più tardi, non vanno, o sono ancora pochi, a vivere insieme in convivenza more uxorio pre-matrimoniale e ancora meno vanno a vivere da soli. Salvo gli immigrati.

Gli immigrati interni, da questo punto di vista, escono prima di casa. Escono prima nel Mezzogiorno che non nel Centro-nord. È più facile che ci sia un giovane del Mezzogiorno che vive da solo, o insieme ad altri per condividere le spese, che non un giovane settentrionale. È vero che negli altri Paesi sono di più gli studenti universitari che vanno a vivere da soli o con altri amici, non necessariamente in un rapporto di coppia. Ma credo che da noi questo fenomeno sia sotto-rappresentato dalle statistiche. Basta interrogare i nostri studenti: risultano tutti risiedere presso i genitori, anche quando vivono fuori sede.

Però, certamente, le nostre strutture universitarie non favoriscono. Leggevo proprio oggi su un giornale di Torino che ci sono solo 200 posti letto nel più grosso collegio universitario torinese. Calcolando la quantità di studenti fuori sede che abbiamo, questo significa che è difficilissimo per un giovane vivere fuori casa. E in più non c’è neppure il modello culturale adatto: ci deve essere una scusa per uscire di casa, non fa parte del modello vivere da soli senza essere sposati.

Il modello culturale dice che se uno non ha conflitti grossi con i propri genitori, o non deve emigrare, non ha l’università fuori sede, perché esca di casa ci deve essere un grandissimo conflitto.

Da noi bisogna sbattere la porta, per andare a vivere da soli, cosa che non è vera negli altri Paesi.

Fonte: http://www.educational.rai.it