Timidezza

timidezzaIl campionario della timidezza è universale.

Non è certo solo patrimonio dell’osservazione di psichiatri o di psicoterapeuti, anche se nei loto studi di persone timide se ne possono trovare un gran numero. Da chi vi si rivolge chiaramente per quel problema, a coloro che lo nascondono sotto una miriade di altre forme cliniche e di altri sintomi.

Di certo lì si incontrano alcuni dei timidi più coraggiosi, quelli che sono stanchi di bluffare, quelli che non ce la fanno più a reggere il peso di una vita sacrificata a farsi grandi quandi si sentono piccoli. Alcuni sono stanchi di arrossire quando vorrebbero sembrare di ghiacchio, sltri non ne possono più di sentire la fronte imperlarsi di sudore quando vorrebbero proporre un comportamento asciutto, altri ancora sono sfiniti dall’ansia che cresce quando si avvicina un appuntameto all’apparenza banale.

Altri, altri, altri.

Altri, quanti mi è capitato di averne cura.

Altri, e ciascuno chiedeva un aiuto speciale per un problema diverso da quello di un proprio simile, ma con una radice comune: una lotta mal riuscita contro la propria timidezza. Timidezza nei confronti degli altri, ma soprattutto timidezza a vivere.

Non è certo soltando nello studio di uno psichiatra, dicevo, che si possono incontrare i timidi. Lì si possono vedere in tanto luoghi, in tutti i luoghi, magari senza poterli riconoscere, tanto bene si sono camuffati. Sono una folla, una grande folla, che poco o tanto somiglia all’intera umanità.

Sentimento umano, la timidezza. Sentimento che i più considerano trasandato, poco nobile, che si può riconoscere nel vicino, con un moto di spirito aggressivo, piuttosto che comprensivo, o di compassione, come lo si può riconoscere in se stessi, con un sentimento di autocommiserazione, di paura, ma anche di panico o di intolleranza.

Raramente d’indulgenza, quasi mai di valorizzazione.

La timidezza, insomma, è vista come una specie di malattia cronica invalidante. Un piccolo o grande mostro con il quale si vuole, o si deve, combattere, ma che lascia sempre scarse possibilità di vittoria. D’altra parte non viviamo certo in un’epoca somigliante a quella romantica, quando anche gli eroi potevano concedersi qualche vampata di rossore senza sentirsi fuori luogo. E neppure a quella medioevale, quando i cavalieri potevano palesemente mostrare la loro ansietà nella trepidante attesa di un sì dell’amata. Per non dire della timidezza ben accreditata come virtù femminile fino a epoche molto più recenti.

Eh no! Viviamo in ben altro periodo: competitivo, tecnologico, rampante, nel quale il controllo delle emozioni è di rigore. Con qualche deroga, magari, in questo o in quel talk-show, dove l’espressione dei sentimenti suscita emotività e applauso, ma dove tutto è garantito da una verità che assomiglia alla finzione e la cornice è predefinita così che, quando si chiude il sipario, la regola dell’autocontrollo obbligatorio riprende a dettare il suo imperativo.

Eppure la timidezza fa parte del tessuto connettivo delle caratteristiche umane. Certamente è il tratto più diffuso, anche se considerato ingiustamente appartenente a un’area che si avvicina a quella della patologia.evidentemente si manifesta con maggiore enfasi laddove le richieste sociali, di una certa cultura, la mettono in una specie di lista di prescrizione.

Non è certo un caso che nel mondo occidentale sia fiorita una copiosa letteratura a riguardo e che anche su Internet ci si trovi di fronte a una valanga di riferimenti sul tema.

La dissennata lotta alla timidezza ha poi alimentato grandi bussiness: dai corsi per essere sempre all’altezza, ai manuali per dare scacco al “problema” in dieci mosse, al mito del fitness, alle cure rimodellanti di chirurgia estetica, agli psicofarmaci, fino alle amiricanissime shy-clinic (cliniche per la cura della timidezza), dove si entra deboli e si esce forti. Sarà! E’ certo solo il prezzo fino a migliaia di dollari, e la rinuncia a far propria una parte di se stessi.

In venti anni di lavoro clinico mi sono imbattuto in uno stuolo di persone i cui problemi derivano dall’insuccesso della lotta contro la timidezza. Via via mi sono chiesto, e ho cercato di sollecitare la stessa domanda nei miei pazienti, se un simile sforzo avesse qualche senso.

La risposta è assolutamente negativa.

Per vivere meglio esiste un’altra via da percorrere, meno dispendiosa e più rispettosa di se stessi.

Tratto dal libro: TimidezzaFausto Manara – ed. Sperling