Se la dieta è ecologica

Alimentazione

Cambiare le abitudini a tavola aiuta a ridurre l’impatto ambientale provocato dalla produzione del cibo e a nutrirsi in modo più adeguato. Qualche consiglio per vivere meglio tutti i giorni.

La Terra ci è data in prestito dai nostri figli”: questo detto della tradizione amerindia andrebbe ricordato ogni giorno. Cambiare il nostro stile di vita richiede tempo, ma se vogliamo garantire un futuro alle generazioni successive è uno sforzo che dobbiamo compiere perché le risorse naturali non sono infinite. Non basta spegnere la luce per un’ora, differenziare i rifiuti o chiudere il rubinetto dell’acqua, è necessario modificare le nostre abitudini alimentari, adottando una dieta che faccia bene al Pianeta. Ci sono diversi esempi che possiamo seguire e con un piccolo sforzo possiamo contribuire a ridurre l’impatto ambientale dovuto alla produzione del cibo.

Mangiare sano e a km zero

Perché mangiare uva del Cile, che secondo i calcoli forniti dalla Coldiretti, percorre 12mila chilometri con un consumo di 7,1 kg di petrolio, liberando 22 kg di anidride carbonica, quando il nostro Paese è in grado di produrla? Spesso non ci rendiamo conto della profonda impronta ecologica (indice statistico per misurare il consumo umano di risorse naturali con la capacità della Terra di rigenerarle) che lasciamo con i nostri consumi.

Acquistare globale e non locale è una scelta che ha delle ripercussioni molto forti sull’ambiente. Nella nostra dieta dovremmo preferire prodotti territoriali e di stagione, aiutando così ad eliminare le emissioni di sostanze inquinanti in atmosfera, sostenendo di più la nostra economia e sviluppando relazioni dirette con i produttori. Scelte di questo tipo non aiutano solo a difendere le risorse naturali ma sono utili anche per la nostra salute perché si tratta di prodotti freschi e naturali.

A tavola senza carne

Chi decide di eliminare dalla propria dieta i grassi animali lo fa non solo per un motivo etico o salutare ma soprattutto ambientale. Per un chilo di carne, come sostiene il centro internazionale di ecologia della nutrizione (Neic) sono necessari 15 kg di cereali, e nei soli Stati Uniti vengono prodotte 145 milioni di tonnellate di cereali e soia per ottenere 21 milioni di tonnellate di carne, uova e latte. Tutte risorse vegetali che vengono sprecate per gli allevamenti intensivi, per soddisfare il bisogno di chi mangia “troppa carne”.

Nel volume Water Resources: Agriculture, the Environment, and Society An assessment of the status of water resources di David Pimentel, James Houser, Erika Preiss, Omar White, si legge che per 5 kg di carne si consumano 500 mila litri di acqua. E va considerata anche l’energia fossile necessaria per la produzione di cibi di origine animale, del tutto superiore rispetto a quella utilizzata per ottenere fonti vegetali. La maggior parte delle emissioni di gas ad effetto serra proviene dagli allevamenti, sia sotto forma di metano prodotto dal sistema digerente degli animali, sia dalle deiezioni che si diffondono in aria sotto forma di sostanze acidificanti.

La deforestazione non dipende solo dall’abbattimento degli alberi ma dalla necessità di avere suolo disponibile per l’allevamento di bovini destinati a fornire carne all’Occidente. Bisognerebbe seguire l’esempio della città di San Francisco che ha proibito ai suoi cittadini di mangiare carne il lunedì per ridurre le emissioni di gas inquinanti e sostenere uno stile di vita ecosostenibile.

Nutrirsi con i semi

I semi sono l’origine di ogni cosa, la fonte principale dello sviluppo agricolo. Se si vuole difendere la biodiversità delle specie vegetali, bisogna prima salvaguardarne le sementi, come insegnano i Seed Savers Exchange, volontari che custodiscono i semi dalle multinazionali che con i loro brevetti Ogm hanno distrutto una grande varietà di chicchi antichi. Salvaguardare i semi significa difendere non solo l’ambiente, ma soprattutto la nostra tradizione contadina che per millenni si è impegnata a selezionare le sementi migliori.

In India, la scienziata Vandana Shiva da anni si batte per la difesa della biodiversità e per la sicurezza alimentare. I semi, inoltre, contengono un’alta concentrazione di valori nutrizionali. I cereali forniscono vitamine del gruppo B, come il grano saraceno e sono una fonte di fibre e di minerali; le leguminose apportano proteine in quantità anche maggiori rispetto alla carne, e i semi oleosi, come mandorle , noci, semi di girasole e di sesamo sono molto ricchi di lipidi.

I germogli: fonte di vitamine

Dai semi di cereali, legumi e altre specie vegetali si possono ottenere i germogli, una fonte energetica tutta naturale. Come sostiene la Ssnv (Società scientifica di nutrizione vegetariana) sono ricchi di principi nutritivi come vitamine, minerali e proteine, e migliorano l’assunzione dello zinco. Germogliare è semplicissimo, non è possibile con tutti i semi ma solo con la soia verde, il miglio, i ceci, i fagioli, le lenticchie, il riso integrale, l’avena, il girasole e la quinoa.

Basta lasciare i chicchi in umidità e bagnarli ogni tanto, due tre volte al giorno, fino a quando il germoglio non avrà raggiunto i 3-4 centimetri. Per arricchirli della clorofilla bisogna lasciarli al sole per circa 8 ore e poi conservarli in frigo. Oltre al loro valore nutrizionale, sono utili per aumentare le nostre difese immunitarie e dall’antichità erano usati per alleviare disturbi digestivi e crampi.

di Assunta Gammardella

Fonte: http://www.terranews.it