Cantare e ridere abbassano la pressione

Cantare e ridere fanno respirare meglio: così avrebbero effetti positivi anche sull’ipertensione. Ascoltare musica, canticchiare e farsi delle belle risate, secondo quanto affermano alcuni ricercatori dell’Università di Osaka, non sarebbe solo un toccasana per l’umore, ma servirebbe anche a tenere a bada la pressione del sangue che tende ad alzarsi troppo.

Lo studio, presentato recentemente ad Atlanta durante la conferenza dell’ American Heart Association mostra infatti che i partecipanti a sedute allietate da canzoni e sorrisi registrano una diminuzione della pressione arteriosa non solo nell’immediato, ma anche a distanza di qualche mese.

La ricerca ha coinvolto un’ottantina di adulti divisi in tre gruppi che, per un’ora ogni due settimane, hanno partecipato per un totale di tre mesi a sessioni in cui cantavano e ascoltavano musica oppure assistevano a una sit-com e partecipavano a sedute di “yoga della risata”, una pratica che sfrutta l’attività di ridere come esercizio respiratorio. Un ultimo gruppo, che doveva fungere da pietra di paragone, non svolgeva invece nessuna particolare attività.

Nei partecipanti ai gruppi di  musica e risate i ricercatori hanno registrato, subito dopo ogni seduta, una riduzione media della pressione rispettivamente di 6 e di 7 mmHg. Il beneficio si manteneva anche al termine del periodo di studio, quando i valori medi della pressione erano più bassi di circa 5 mmHg. «Non sappiamo bene perché ciò accada» puntualizza Eri Eguchi, ricercatrice all’Università di Osaka e principale autrice dello studio, «un dato interessante, però è che i livelli di cortisolo, ormone prodotto in condizioni di stress, diminuiscono in chi partecipa alle sessioni di musica e risate. Questo potrebbe contribuire a rilassarle e a far scendere la pressione, ma occorreranno altre ricerche per capire meglio il fenomeno».

In realtà altri studi in passato hanno indagato su un possibile legame tra musica, respirazione e ipertensione. Un gruppo guidato da Pietro Amedeo Modesti, docente di medicina interna all’Università di Firenze, un anno fa ha pubblicato sul Journal of Hypertension una ricerca in cui si dimostrava che un’ora al giorno di esercizi di respirazione lenta guidata da musica riduceva di circa 5 mmHg la pressione media delle 24 ore, effetto che si manteneva per tutti i 6 mesi dello studio. «La chiave di tutto è la respirazione» spiega Modesti. «La musica da sola non basta: anche nello studio giapponese non c’è un ascolto passivo, ma accompagnato dal canto, attività che obbliga a sincronizzare il respiro».

A questo proposito sulla rivista Arthritis Care & Research viene riportato il curioso caso di una paziente ipertesa la cui pressione, innalzatasi eccessivamente prima di un’operazione al ginocchio, è stata abbassata con l’aiuto dell’attività canora della paziente stessa. Ma come spiegare questi dati? Secondo lo studioso fiorentino, un ritmo del respiro più lento e controllato influirebbe sull’attività del sistema nervoso simpatico responsabile della vasocostrizione e quindi dell’innalzamento della pressione. «In particolare», spiega Modesti,«c’è un aumento della sensibilità dei barocettori, i sistemi che tengono monitorata la pressione, che tornano a funzionare in modo più efficiente. Questo sarebbe il motivo per cui regolare la respirazione può avere un effetto duraturo sulla pressione e non solo transitorio».

Non si può però pensare di fare a meno dei farmaci antipertensivi. Le tecniche di respirazione, magari accompagnate dalla musica, possono solo coadiuvare il controllo della pressione. In più però contribuiscono a sensibilizzare il paziente che prende maggiore coscienza dei fattori di rischio cui è esposto e presta quindi più attenzione allo stile di vita che è meglio adottare anche in termini di dieta ed esercizio fisico. «Con un trattamento di tipo comportamentale come il canto e la respirazione» conclude Modesti, «è possibile modificare i riflessi cardiovascolari e potenziare la cura farmacologica per ridurre la pressione.

L’importante è che queste nuove strategie terapeutiche vengano seguite con costanza e regolarità dal paziente. In quest’ottica, musica e attività di gruppo possono aiutare». I ricercatori fiorentini hanno anche tracciato un profilo psicologico del paziente che può beneficiare maggiormente di questi trattamenti: chi è introverso e si lascia meno coinvolgere dall’ambiente esterno riuscirebbe a concentrarsi di più su se stesso e a sfruttare al meglio le virtù terapeutiche di musica e respirazione.

Cristina Gaviraghi

Fonte: http://www.corriere.it

Bibliografia