Parlami, ti ascolto!

parents1Molti genitori si lamentano della chiusura dei loro bambini.
“Non parla” “E’ sempre ombroso” “Vorrei che mi dicesse cosa prova” oppure…..

“E’ tutto suo padre/ sua madre , è chiuso come lui”….”Io mi metto con tutta la volontà ma lei/lui fa fatica a raccontare”.
Frasi comuni ,ma, cosa blocca il bambino nel comunicare i suoi stati d’animo, le sue emozioni, le sue paure?

Poniamoci una domanda : riusciamo ad ascoltarli senza esprimere giudizi? Ad ascoltare senza prendere posizioni, dare consigli, a proporre frasi fatte e confezionate da esibire ?

L’ascolto efficace deve rimandare al bambino la capacità di capire , di cercare soluzioni personali ( è deleterio “liquidare” le eventuali difficoltà con la ricerca di somiglianze parentali).

Un bambino ha bisogno di essere incoraggiato ed è errato pensare che i problemi dell’infanzia siano solo quelli drammatici ( povertà ,maltrattamento, violenza). La difficoltà di fare amicizia, la paura di misurarsi in ambienti esterni,ecc , non sono di poco conto considerato che la forza è roporzionata alla fatica. Sminuire le difficoltà ,e/o proporsi con un ascolto sommario,impedisce la costruzione di un dialogo e crea sfiducia nelle figure di riferimento.

Analizziamo alcuni elementi che impediscono la relazione empatica:
Ascoltare i fatti e non le emozioni:
ascoltare gli episodi che il bambino racconta non significa ascoltarlo davvero. Quando un bambino è preoccupato, triste o in difficoltà , non ha la capacità di esprimere la sua emozione ; i suoi messaggi in codice , raramente, vengono decifrati dall’adulto che focalizza l’attenzione sull’evento superficiale.

E’ necessario sintonizzarsi sul versante emozionale per “sentire” e “farsi sentire”
Postura del corpo durante l’ascolto:

Il bambino fa fatica a dire ma il suo corpo si esprime benissimo . Di fronte ad una emozione negativa la postura del piccolo si trasforma : è rigido , ripiegato, contratto… La posizione dell’adulto , nell’ascolto, deve trasmettere attenzione (proiettato verso il bambino ); una postura rilassata e lontana, dà l’idea di essere distratti e poco motivati ad accogliere il messaggio.

Drammatizzare :
Farsi prendere dal panico o sentirsi impotenti rispetto alla sofferenza del piccolo , non offre validi punti di riferimento e non stimola la fiducia nei “grandi”
La forza dell’adulto serve a facilitare lo scarico delle tensioni evitando di moltiplicarle con le proprie ansie.

Usare i perchè:
L’uso dei perché ha il sapore dell’indagine, dell’inquisizione, del giudizio pronto a colpire.
Porre delle domande usando ” che cosa”, “come” ” di che cosa” , apre maggiormente al dialogo ed elimina i sensi di colpa

“Cosa succede”- “Cosa hai pensato quando”-“Come hai vissuto la cosa” “Di che cosa hai paura” “Di che cosa hai bisogno”..ecc

Si può successivamente provare a ricongiungere i dati per avere insieme un quadro emotivo completo ( non interpretando ma unificando le informazioni)
Successivamente si può passare a chiedere :

“Quale può essere una soluzione”
“Cosa puoi fare”
“Cosa posso fare”
“Come posso aiutarti”

La comunicazione assume un altro significato , il bambino vive la sua difficoltà in modo attivo e sente di poter avere delle competenze ; il problema viene vissuto, quindi, come temporaneo e aperto alla soluzione.

Fonte: http://www.genitoriquasiperfetti.it