Il linguaggio emozionale

letting-go-of-butterfliesPossiamo intendere per linguaggio emozionale ogni comunicazione che veicoli e susciti su un individuo ricettivo, sentimenti ed emozioni, tanto più forti quanto più efficace è il linguaggio utilizzato. Gli evocatori emozionali, ossia ciò che suscita in un soggetto certe emozioni, sono legati alla loro capacità di parlare al suo inconscio, agirando le eventuali resistenze del soggetto.

Il linguaggio delle emozioni è fondamentalmente un linguaggio simbolico e metaforico; un linguaggio che in primis può sembrare indecifrabile, ma che in effetti “attraversa le pareti piuttosto che utilizzare la porta”. Questo ne decreta una straordinaria efficacia comunicativa capace di superare barriere ed impedimenti.

Scrive Erich Fromm (1951): “…il linguaggio simbolico è una lingua vera e propria, e in effetti l’unico linguaggio universale che la razza umana abbia mai creato, allora ci troviamo veramente di fronte a un problema di comprensione più che di interpretazione, come se si avesse a che fare con un codice segreto creato di proposito”.

Egli afferma che nel linguaggio simbolico i pensieri, i sentimenti e le esperienze interiori si esprimono come fossero esperienze sensoriali, avvenimenti del mondo esterno. Sottende sostanzialmente una differente logica da quella convenzionale di cui ci serviamo durante il giorno, una logica nella quale “….non tempo e spazio sono le categorie dominanti, ma intensità e associazione, è forse l’unico linguaggio universale che mai sia stato creato dall’uomo, rimasto identico per ogni civiltà e nel corso della storia. Un linguaggio con la sua grammatica e la sua sintassi, che bisogna comprendere se si vuole cogliere il significato dei miti, delle favole e dei sogni”. Ma che cosa sono i simboli?

Egli descrive il significato del simbolo nella logica ordinaria come “..qualcosa che sta al posto di qualcos’altro” che diviene più interessante considerando quei simboli in cui espressioni sensoriali come il vedere, l’udire, l’odorare e il toccare stanno al posto di qualcos’altro che è un’esperienza interiore, un sentimento o un pensiero. Un simbolo di questo tipo è qualcosa che è al di fuori di noi stessi e ciò che esso simbolizza è qualcosa che sta dento di noi.

Fromm (1951) prosegue affermando che nel linguaggio simbolico le esperienze interiori vengono espresse come fossero esperienze sensoriali, ossia qualcosa che abbiamo fatto o subito nel mondo esteriore; “…in esso il mondo esterno è un simbolo del mondo interno, un simbolo per le nostre anime e per le nostre menti”.

Egli attua un’interessante distinzione tra simboli convenzionali, accidentali, e universali in cui gli ultimi due assumono rilevanza individuale esprimendo le esperienze interiori come se fossereo esperienze sensoriali, possedeno gli elementi del linguaggio simbolico. Il simbolo accidentale, quindi, si verrebbe a creare attraverso una’associazione mentale tra uno stato d’animo e qualcosa con cui l’individuo entra in contatto, come ad esempio un luogo; in seguito, l’ascoltare il nome di quel luogo potrà evocare lo stato d’animo esperito.

Nel simbolo universale, invece, esiste una relazione intrinseca fra il simbolo e ciò che esso rappresenta. Alcuni simboli universali li ritroviamo radicati nell’esperienza di ogni essere umano; il simbolo del fuoco, ad esempio, possiede caratteristiche intrinseche che ne determinano le sue proprietà: “esso cambia continuamente, si muove continuamente, eppure in esso vi è stabilità; rimane sempre lo stesso pur senza essere tale. Dà una sensazione di potenza, di energia, di grazia e di leggerezza; è come se danzasse e racchiudesse in sé un’inesauribile sorgente di energia.

Quando usiamo il fuoco come simbolo, vogliamo esprimere l’esperienza interiore caratterizzata da quegli stessi elementi che notiamo nell’esperienza sensoriale del fuoco: l’energia, la leggerezza, il movimento, la grazia, la gaiezza – e a volte l’uno a volte l’altro di questi elementi predomina in tale stato d’animo” (Fromm, pp.20, 1951)

Anche nel simbolo dell’acqua, egli dice, troviamo la fusione di mutamento e di permanenza, di movimento incessante e anche di stabilità, di vitalità ed energia, ma a differenza del fuoco, l’acqua è tranquilla, calma e lenta. “Il fuoco contiene un elemento di sorpresa, l’acqua un elemento di prevedibilità” . Simboli personali ed universali trovano posto nel linguaggio inconscio del paziente, e nelle analogie e storie che possono essere prodotte per entrare in profonda comunicazione con questo. Un linguaggio altamente emozionale in ipnosi è proprio la metafora, che è una comunicazione di tipo analogico, nella quale qualcosa viene simbolicamente espresso da qualcos’altro che esprime aspetti della prima.

La metafora prodotta per il paziente dovrebbe parlare il suo stesso linguaggio simbolico, creando un canale privilegiato col suo mondo interno, divenendo penetrante e suggestiva. Uno dei più abili maestri nell’utilizzo di storie, che nei suoi interventi riusciva a comprendere e utilizzare la metafora con una facilità estrema analoga a quella delle persone che utilizzano la comunicazione logica e consapevole, fu il noto Milton Erickson; i suoi suggerimenti, frequentemente indiretti, contenevano analogie riguardanti i problemi dei pazienti (Haley, 1973), ma egli non “interpretava” mai a questi ultimi il significato di tali metafore, mantenuto implicito e nascosto. Sarà poi la conseguente attivazione inconscia ed emozionale del sogetto che mettendosi in moto si metterà alla ricerca delle proprie soluzioni e di quanto gli è necessario; questo è sostenuto dalla costante fiducia e riconoscimento di Erickson (1980) per le risorse dimenticate o non utilizzate dal paziente.

Se per ipnosi possiamo intendere uno stato di coscienza molto focalizzato, nel quale l’attenzione è rivolta solo a ciò che è immediatamente rilevante, attraverso questo stato mentale è possibile rendersi conto dei propri potenziali a livello fisico, emozionale, intellettuale e comportamentale risvegliando le risorse prima addormentate (Zeig, 1987); in tale “stato modificato di coscienza” la metafora può essere un potente e intenso attivatore emozionale all’interno della relazione ipnotica la quale può essere enfatizzata e massimizzata per le finalità e gli obiettivi previsti dalla terapia; questo tipo di linguaggio ha certamente il vantaggio di essere incisivo e di entrare maggiormente in provondità nel contatto emotivo con l’individuo. Il terapeuta potrebbe utilizzare, quindi, metafore, storie, simboli e suggestioni, o un linguaggio più diretto, qualora si renda necessario. Si tratta, quindi, di suscitare un’intensa emozione terapeutica nel soggetto, utilizzando le sue stesse emozioni attentamente osservate, e una modalità prevalentemente indiretta (ma non sempre) che renda più disponibile l’individuo, massimizzandone il suo ruolo attivo nella terapia.

Per poter produrre un linguaggio emozionalmente comunicativo è essenziale attuare una responsiva osservazione del paziente, cogliendone ogni sfumatura. Da un punto di vista linguistico, si dovrebbero individuare le parole utilizzate con più frequenza e se alcune possonono considerasi parole chiave; cogliere la presenza di temi caratterizzanti la produzione verbale ed evidenziare le aree che l’individuo denota come di maggior interesse, con particolare riguardo a quella del sintomo e del relativo comportamento (Loriedo, Sale, 2002).

Ma per attuare una comunicazion che divenga davvero emozionale per il paziente, sembra opportuno tenere in debita considerazione l’idea Ericksoniana che ogni individuo è unico e che questa unicità debba essere valorizzata e rispettata; in questo modo sarà possibile, come indica Zeig (1987), guidare le associazioni della persona verso il cambiamento operato a un livello preconscio.

Il linguaggio emozionale utilizzato dal terapeuta comprende, come abbiamo visto, sia aspetti verbali che non verbali; i primi sono rappresentati da tutto ciò che viene detto e comunicato dal terapeuta attraverso il linguaggio verbale più o meno suggestivo (espresso anche in forma di domanda), mentre il linguaggio non verbale è rappresentato da tutti quei messaggi inviati con il corpo, i gesti, il tono della voce, ecc..

Ad esempio la funzione propositiva della domanda agisce nel rapporto interpersonale con l’effetto di affermare, dare ordini, implicare, indirizzare, informare, invitare, proporre relazione, rispondere, suggerire, sviluppare risorse; questa funzione delle domande è spesso conseguenza del loro significato indiretto e dei messaggi impliciti che esse contengono, poiché la forma interrogativa finisce di regola per mascherare o attenuare la direttività contenuta nella richiesta (Loriedo C., Sale A., 2002).

Gorgia riportato da Nardone, afferma “la parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce infatti a calmare la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentare la pietà”. E poi “gli ispirati incantesimi di parole sono apportatori di gioia, liberatori di pena. Aggiungendosi, infatti, alla disposizione dell’anima la potenza dell’incanto, questa la blandisce e persuade e trascina il suo fascino” (da Nardone, 2003). E interessante la definizione che Nardone da a colui che persuade, che sembra divenire quasi un comunicatore magico: “…è un inventore di verità, opera strategicamente usando il linguaggio per costruire – realtà inventate che producono effetti concreti -. E ancora “…l’essenza della persuasione è la proprietà del linguaggio che, se utilizzato in certi modi, può cambiare la percezione della realtà. In altri termini, una realtà cambia a seconda di come viene comunicata” (Nardone, 2003).

La logica della mente emozionale è una logica di tipo associativa in cui elementi che simboleggiano una realtà o ne suscitano il ricordo equivalgono a quella stessa realtà. Per questo le similitudini, le metafore e le immagini si rivolgono direttamente alla mente emozionale, come fanno l’arte, i romanzi, i film, la poesia, il canto, il teatro, l’opera. Grandi maestri spirituali come Buddha e Gesù hanno toccato il cuore dei discepoli parlando il linguaggio dell’emozione, insegnando con le parabole, le favole e i racconti (Goleman, 1995).

Se è vero come indicato da Marcoli (1999) che “C’è un bambino nascosto e spesso perduto in ognuno di noi adulti che può riattivarsi improvvisamente, senza che noi stessi ce ne rendiamo conto e condizionandoci inconsapevolmente nei comportamenti e nelle nostre azioni affettive importanti…”, è anche vero che è possibile parlare con questo bambino usando le parole sussurrate del linguaggio simbolico, il linguaggio delle storie e delle favole che egli ben conosce.

di Massimo Cotroneo

Fonte: http://www.iissweb.it