La comunicazione efficace

La comunicazione è uno dei termini oggi più usati e, talvolta, abusati. In generale, essa indica quell’insieme di segni e di messaggi – verbali e non – che servono per trasferire ad altri informazioni, ma anche emozioni e sentimenti. Comunicare, infatti, non significa semplicemente informare, ma anche e soprattutto “entrare in relazione” con soggetti esterni a noi.

La parola è un dono che solo l’uomo possiede, ma anche gli animali possono comunicare e possiamo affermare che, per ogni essere vivente, non comunicare è praticamente impossibile.

Per quanto riguarda la comunicazione umana, un classico saggio del professor Albert Mehrabian ha dimostrato che solo il 7% del significato viene veicolato dalle parole pronunciate, mentre il 38% di esso viene comunicato attraverso la tonalità in cui vengono espresse, e il restante 55% non ha nulla a che vedere con le parole, bensì con la fisiologia. Il silenzio, uno sguardo, la postura, le smorfie del volto o il modo di respirare, l’abbigliamento o il profumo usato sono aspetti che “parlano” per noi e manifestano il nostro modo d’essere, l’universo dei nostri stati d’animo, ancor più delle nostre parole.

Il filosofo russo Gurdjieff sosteneva che “noi diventiamo le parole che ascoltiamo“. In effetti, le cose stanno proprio così: le parole che ascoltiamo o che pronunciamo lasciano una traccia in noi. Tutte le parole, e in particolare quelle sbagliate, ci condizionano, seminando scorie, generando atteggiamenti distorti e “storpiature” che ci complicano l’esistenza e ci intossicano la mente. Una volta pronunciate, infatti, le parole vanno ad agire almeno su due cervelli: quello di chi parla e quello di chi ascolta. In entrambi, esse diventano materia mediante un preciso percorso chimico-fisico (oltre che simbolico) che attraversa corpo e psiche a partire dall’orecchio (Morelli, 2005).

Dal timpano, i suoni che udiamo procedono nel cranio verso una struttura denominata coclea, fanno vibrare l’orecchio interno e poi si incanalano nel nervo acustico, dove stimolano il nervo vago, che si dirama verso gli organi della respirazione, della digestione e della circolazione.

A livello centrale, invece, vengono interessate alcune aree del cervello e le zone vicine alle strutture uditive, come le aree limbiche e para-limbiche, dove le emozioni si trasformano in impulsi chimico-fisici e viceversa (Morelli, 2005).

Ecco perché quando una parola entra in noi (può essere una parola da noi pronunciata, o anche solo sentita, oppure una parola che ci viene detta) ha come conseguenza quella di modificare contemporaneamente le aree cerebrali e lo stato di alcuni visceri, con conseguenze sia a livello psichico che somatico. Ecco perché le parole che utilizziamo hanno il potere di farci star bene o di creare disagio, di influenzare le nostre relazioni, la fiducia in noi stessi, le possibilità di raggiungere i nostri obiettivi e di realizzare i nostri progetti.

Sostiene Morelli (2005) che il nostro cervello è un terreno fecondo su cui le parole, le nostre come quelle altrui (se sono nostre questo discorso vale anche per le parole solo pensate) cadono come tanti semi. Ascoltando se stessi e gli altri, si diventa il fertile ricettacolo di questi semi, che poi fruttificano e germogliano nel corpo. Ogni forma di comunicazione incide dunque nella nostra psiche, lavora nel nostro inconscio per giorni, mesi, anni, arrivando a cambiare la nostra mentalità e lasciando una traccia fisica nel nostro corpo. Gurdjeff aveva intuito giustamente: noi diventiamo per davvero le parole che ascoltiamo ma, ancor di più, quelle che pensiamo o pronunciamo e che continuiamo a pronunciare.

Che fare, allora? E’ importante diventare consapevoli della nostra comunicazione, degli effetti che essa ha su di noi, sui nostri interlocutori e sulle nostre relazioni per trasformarla in comunicazione efficace. Affinché le parole diano sollievo e creino benessere, in noi stessi e negli altri, aiutandoci a ridurre lo stress, gli errori e le incomprensioni, è indispensabile acquisire consapevolezza di che cosa diciamo, di come parliamo, degli stati emozionali nostri e di coloro con cui stiamo interagendo, sia di persona che al telefono o attraverso una comunicazione scritta.

La consapevolezza è alla base dell’empatia: quanto più aperti siamo verso le nostre emozioni, tanto più abili saremo anche nel leggere i sentimenti altrui. Questa capacità che ci consente di sapere come si sente un altro essere umano entra in gioco in continuazione, sia in ambito privato (nelle relazioni sentimentali, con i figli o con gli amici) che in ambito professionale (si pensi alla giornata lavorativa di un venditore o di un dirigente).

Un fattore determinante affinché le relazioni interpersonali siano efficaci è l’abilità con la quale un individuo riesce ad entrare in sincronia emotiva con gli altri, che consiste nel rispecchiare a livello corporeo, in modo inconscio e impercettibile ad occhio nudo, gli stati d’animo dell’interlocutore.

Afferma Goleman che quando due persone interagiscono, lo stato d’animo viene trasferito dall’individuo che esprime i sentimenti in modo più efficace a quello più passivo.

Gli individui incapaci di ricevere e trasmettere emozioni sono destinati a relazioni interpersonali problematiche, dal momento che spesso gli altri si sentono a disagio con loro, pur non riuscendone a spiegare il motivo (Goleman, 1999).

Quelli che invece sanno entrare in sintonia con gli stati d’animo altrui, o riescono facilmente a trascinare gli altri nella scia dei propri, allora, dal punto di vista emozionale, godranno di relazioni interpersonali più armoniose. La caratteristica che contraddistingue un leader carismatico o un bravo executive sta proprio nella capacità di trascinare a sé gli interlocutori in questo modo.

La sintonia emotiva funziona nel modo migliore quando nasce al di fuori della sfera cosciente e quando sorge spontaneamente. Tuttavia, si tratta di un’abilità che si può apprendere, e che può contribuire a migliorare enormemente la nostra capacità di comunicare con gli altri.

Fonte: http://www.manageconsulting.it

Bibliografia