Gestione creativa dei conflitti

ze_29700001722Un esercizio pratico che offre una strategia concreta per non reagire automaticamente nelle situazioni conflittuali, ma imparare e mettere in atto soluzioni diverse, perché no, con un pizzico di humor.

Ci sono i periodi in cui ci capita di rimanere bloccati in atteggiamenti conflittuali.  C’è un sistema semplice per sbloccarsi. E’ un processo a tappe che, se seguito, può sia rasserenarci che aprirci alla trasformazione creativa della situazione.

1. L’elenco.

Fare un elenco di episodi sgradevoli ai quali abbiamo reagito con un atteggiamento conflittuale. Sono molto utili gli episodi in cui ci siamo sentiti aggrediti e quelli in cui siamo rimasti male, sia che abbiamo reagito con sottomissione sia con aggressione.

Non è necessario scrivere tutto con precisione, basta qualche parola chiave che ci permetta di ritornare mentalmente con velocità e precisione a ciascun episodio specifico.

Esempio:

a) Anna è entrata urlando nell’ufficio

b) Giovanni non mi ha richiamata anche se me lo aveva promesso

c) L’uomo mi ha superato in coda

d) X mi ha detto che avevo fatto male il lavoro solo perché non lo ha guardato bene

e) Y non ha eseguito il compito come doveva

f) Z è arrivato in ritardo anche se gli avevo detto che era importante

g) Q mi ha insultata

h) ….

2. L’indagine

Per ognuno degli episodi fa emergere “a cosa” esattamente abbiamo reagito.

Quando siamo bloccati in atteggiamenti conflittuali non reagiamo a ciò che accade, ma ad una nostra interpretazione di ciò che accade. In questo caso la nostra reazione, automatica e veloce, ci appare l’unica possibile.

La forza di questo automatismo si fonda su due pilastri: lo stress e un’equivalenza arbitraria.

Rimaniamo chiusi nel circolo vizioso dell’interpretazione di ciò che accade come minaccioso e dello stress che favorisce questo tipo di interpretazione.

Per far emergere a cosa abbiamo reagito automaticamente, dunque per fare emergere le equivalenze in base alle quali la nostra risposta ci è sembrata l’unica possibile, si può utilizzare questa struttura: “il fatto che … (ciò che è accaduto) significa che …(ciò a cui presumibilmente ho reagito)”.

Riconoscere specificatamente quale sia l’interpretazione a cui abbiamo reagito apre uno spazio fra la nostra interpretazione e la risposta che diamo.

Questo passaggio ci serve anche a riconoscere l’emozione che tendiamo a negare agendo automaticamente e, magari, invocando la giustizia.

Esempio:

a. Il fatto che Anna sia entrata urlando in ufficio significa che non rispetta il mio ruolo (emozione: come mi avessero calpestato)

b. Il fatto che Giovanni non mi abbia richiamato significa che non mi pensa (emozione: come fossi abbandonato)

c. Il fatto che l’uomo mi abbia superato in coda significa che al mondo non c’è più giustizia (emozione: come se tutto fosse sbagliato)

d. Il fatto che X abbia criticato il lavoro significa che non gli importa dei nostri obiettivi (emozione: delusione)

e. Il fatto che Y non abbia eseguito il compito significa che non mi rispetta (emozione: rabbia)

3. Le ipotesi

Per ciascuna equivalenza ipotizzare almeno 5 alternative. Non è necessario che crediamo alle ipotesi che formuliamo, ciò che conta è che le formuliamo, se sono realistiche bene, se sono folli e umoristiche bene, e se sono depressive bene lo stesso.

Lo scopo di questo passaggio è di aprirci ad alternative invece che incanalarci in una reazione automatica.

Esempio:

a. Anna era spaventata, Anna aveva un granchio appeso alla gonna, Anna non conosce il mio ruolo, Anna non conosce i miei obiettivi, Anna è diventata sorda

b. Giovanni è finito in un burrone, Giovanni ha perso il numero telefonico, teme orribilmente le cornette del telefono, ha perso la voce, non vuole più vedermi

c.  L’uomo stava correndo all’ospedale con il figlio in pericolo, si sente più potente quando supera le altre automobili, odia le auto come la mia

4. La verifica

Formulare tre domande per verificare ogni ipotesi.

Esempio:

a. Temi qualcosa? Hai un granchio attaccato alla gonna? Sai a cosa serve qui la mia presenza?

b. Sei finito in un burrone? Hai perso il numero telefonico? Temi orribilmente le cornette del telefono?

5. Il senso dell’umorismo

Scegliere la domanda che si preferisce in base alla piacevolezza dell’umore che suscita, al contesto che si vuole creare insieme al nostro interlocutore o alla possibilità di condividere quel contesto.

E’ assolutamente necessario che le domande siano poste con vera curiosità, vale a dire con un vero interesse ad ascoltare la risposta. Se viceversa fossero domande retoriche non faremmo che riconfermare sotto mentite spoglie la nostra reazione automatica.

Emma Rosenberg Colorni

Fonte: http://www.lifegate.it